domenica 5 luglio 2015

La guerra nei Balcani - Prima Parte -

1) Premessa Storica

Sei na­zio­na­li­tà, tre re­li­gio­ni, quat­tro lin­gue uf­fi­cia­li, due dia­let­ti, al­me­no se­di­ci grup­pi et­ni­ci ri­co­no­sciu­ti; tutto in poco più di 100.000 chi­lo­me­tri qua­dra­ti. Ba­ste­reb­be que­sta estre­ma sin­te­si per ca­pi­re che fare un’a­na­li­si sto­ri­ca com­ple­ta dei Bal­ca­ni non è pra­ti­ca­bi­le qui.

Ci sono co­mun­que al­cu­ne que­stio­ni e mo­men­ti sto­ri­ci da evi­den­zia­re per­ché fon­da­men­ta­li. Par­tia­mo col dire che in quel­la zona di con­fi­ne ci fu­ro­no tre in­fluen­ze di tipo cul­tu­ra­le e re­li­gio­so di­ver­se: quel­la de­ri­van­te dalla tra­di­zio­ne cat­to­li­ca del­l’im­pe­ro Asbur­gi­co, quel­la della Rus­sia or­to­dos­sa e l’im­pe­ro Ot­to­ma­no cor­ri­spon­den­te ad una vi­sio­ne mu­sul­ma­no-tur­ca.

Il primo ten­ta­ti­vo di crea­re una unio­ne mul­tiet­ni­ca e mul­ti­re­li­gio­sa, ba­sa­ta sul­l’i­dea ot­to­cen­te­sca del co­sti­tu­zio­na­li­smo dello Stato Na­zio­ne, fu fatto con il “Regno dei Serbi, Croa­ti e Slo­ve­ni” su­bi­to dopo la I Guer­ra Mon­dia­le.

Alle ten­sio­ni cul­tu­ra­li del pas­sa­to si ag­giun­se­ro i nuovi con­flit­ti ideo­lo­gi­ci po­li­ti­ci. Per sal­va­re il sal­va­bi­le il Re Ales­san­dro I so­spe­se il po­te­re del par­la­men­to e in­stau­rò una dit­ta­tu­ra mi­li­ta­re. Le cose — se pos­si­bi­le — an­da­ro­no peg­gio­ran­do. In Croa­zia si af­fer­mò la fi­gu­ra di Ante Pa­ve­lic, lea­der degli Usta­scia, for­ma­zio­ne fa­sci­sta che col­la­bo­ra­va stra­te­gi­ca­men­te e mi­li­tar­men­te con Mus­so­li­ni. Il ri­sen­ti­men­to an­ti-ser­bo era do­vu­to anche a mo­ti­va­zio­ni eco­no­mi­che in quan­to gli aiuti eco­no­mi­ci cen­tra­li ve­ni­va­no di­rot­ta­ti prin­ci­pal­men­te per l’a­gri­col­tu­ra nelle am­mi­ni­stra­zio­ni lo­ca­li a pre­va­len­za serba.

Co­mun­que sia, du­ran­te la II Guer­ra Mon­dia­le, il do­mi­nio na­zi-fa­sci­sta com­pli­cò lo sce­na­rio con al­lean­ze del tutto im­prov­vi­sa­te (come i co­mu­ni­sti con i Cet­ni­ci mo­nar­chi­ci, che in se­gui­to si com­bat­te­ro­no). In Ko­so­vo i fa­sci­sti ita­lia­ni aiu­ta­ro­no gli Al­ba­ne­si re­si­den­ti, men­tre in Croa­zia i serbi fu­ro­no og­get­to di re­pres­sio­ne et­ni­ca da parte degli Usta­scia e na­zi­sti. Come da re­go­la aurea di tutte le guer­re ci­vi­li, la ven­det­ta dei serbi sui croa­ti — quan­do nel 1943 gli ita­lia­ni si di­sim­pe­gna­ro­no dai Bal­ca­ni, fa­vo­ren­do l’in­sur­re­zio­ne dei par­ti­gia­ni co­mu­ni­sti — fu non meno spie­ta­ta di quel­la per­pe­tra­ta dai se­gua­ci di Pa­ve­lic.

Que­sta pre­mes­sa (lar­ga­men­te in­com­ple­ta) deve ser­vi­re solo per com­pren­de­re quan­to pro­fon­do e an­ti­co fosse l’o­dio tra le etnie e quan­to gli even­ti sto­ri­co po­li­ti­ci ab­bia­no ancor di più in­tor­bi­di­to l’at­mo­sfe­ra.

C’è da ag­giun­ge­re che, per con­tra­sto, ci sono stati posti nella ex-Ju­go­sla­via che sono stati esem­pio di ri­spet­to e tol­le­ran­za re­ci­pro­ca. Prima dello scop­pio della guer­ra ci­vi­le del 1990-91 molti erano i ma­tri­mo­ni misti e una per­cen­tua­le non tra­scu­ra­bi­le di po­po­la­zio­ne in Ser­bia, in Croa­zia e in molti altri posti, si di­chia­ra­va cit­ta­di­no “ju­go­sla­vo”. Sfor­tu­na­ta­men­te que­sta parte della so­cie­tà — lar­ga­men­te mag­gio­ri­ta­ria — non ha avuto l’op­por­tu­ni­tà, la forza stra­te­gi­ca e po­li­ti­ca, di pre­va­le­re sulla mi­no­ran­za vio­len­ta et­ni­co-na­zio­na­li­sta.



2) La Ju­go­sla­via post Tito

La prima cosa che mi viene in mente in me­ri­to al­l’ar­go­men­to è che non si sono stu­dia­te a fondo le mo­ti­va­zio­ni della dis­so­lu­zio­ne dello stato fe­de­ra­le della Ju­go­sla­via. La se­con­da è che il tema è ma­le­det­ta­men­te com­ples­so. Tal­men­te com­ples­so che ini­zial­men­te la que­stio­ne fon­da­men­ta­le è che noi — noi os­ser­va­to­ri ester­ni ma coin­vol­ti emo­ti­va­men­te e po­li­ti­ca­men­te — ab­bia­mo il do­ve­re di di­stri­car­ci nel magma cao­ti­co dei Bal­ca­ni, fatto di con­flit­ti re­li­gio­si, po­li­ti­ci, ideo­lo­gi­ci ed eco­no­mi­ci.

Ho de­fi­ni­to “mon­dia­le” que­sta guer­ra non — evi­den­te­men­te — per mo­ti­vi spa­zia­li, ter­ri­to­ria­li ma in quan­to por­ta­tri­ce di tutte le ideo­lo­gie estre­mi­ste del se­co­lo scor­so. Per­ché se ideo­lo­gie come il na­zio­na­li­smo, il na­zi-fa­sci­smo, il co­mu­ni­smo e lo sta­li­ni­smo, il raz­zi­smo por­ta­to fino allo ster­mi­nio, hanno co­no­sciu­to li­vel­li più o meno mar­ca­ti, più o meno estre­mi, e si sono svi­lup­pa­te in di­ver­se zone eu­ro­pee ed est-eu­ro­pee in pe­rio­di sto­ri­ci dif­fe­ren­ti, nei Bal­ca­ni tutto que­sto è sfo­cia­to nel modo più estre­mo e nel­l’ar­co di pochi anni.

E’ bene dire su­bi­to che non tutto è av­ve­nu­to negli anni 80-90; come non è cor­ret­to — anche se spes­so si sente dire in ri­fe­ri­men­to a spe­ci­fi­ci mo­men­ti sto­ri­co-po­li­ti­ci — par­la­re di “mo­men­to de­ci­si­vo”. Non c’è un even­to sca­te­nan­te. Evi­den­te­men­te la sto­ria per il mondo oc­ci­den­ta­le in ge­ne­ra­le non è stata un’in­se­gnan­te par­ti­co­lar­men­te se­ve­ra. Pec­ca­to. Il campo va sgom­bra­to anche da fa­ci­li ana­li­si pi­la­te­sche del tipo “ci sono stati cri­mi­ni da tutte le parti” op­pu­re “non ci sono buoni e cat­ti­vi”, per­ché se è vero come è vero che ef­fet­ti­va­men­te è dif­fi­ci­le tro­va­re ga­lan­tuo­mi­ni e mi­li­ta­ri ca­val­le­re­schi in que­sta or­ri­bi­le guer­ra ci­vi­le, è anche vero che le colpe e le mo­ti­va­zio­ni non sono ugua­li per tutte le parti in causa. Si può e si deve giu­di­ca­re; se non nel modo si­cu­ro pro­prio della ma­te­ria “scien­ti­fi­ca”, ci si può e ci si deve “schie­ra­re”.

Que­sto per­ché il giu­di­zio ali­men­ta la di­scu­sio­ne e per­ché… “de te fa­bu­la nar­ra­tur”.

Di­ce­vo… bi­so­gna ini­zia­re a di­stri­car­si. Bi­so­gna ini­zia­re da qual­che cosa; così ho de­ci­so di se­gui­re il do­cu­men­ta­rio della BBC, com­men­tan­do­lo e ar­ric­chen­do­lo con com­men­ti e con altro ma­te­ria­le re­pe­ri­to in rete.

Quin­di, aven­do in mente le pre­mes­se sto­ri­che, si parte dalla morte di Josip Broz, co­no­sciu­to come Ma­re­scial­lo Tito. Il pre­si­den­te della Ser­bia è Ivan Stam­bi­lic. Slo­bo­dan Mi­lo­se­vic, nato da una fa­mi­glia or­to­dos­sa, lau­rea­to in giu­ri­spru­den­za a Bel­gra­do, prima di ap­pro­da­re nel Co­mi­ta­to della Lega dei Co­mu­ni­sti di Bel­gra­do, la­vo­ra come di­ret­to­re della Beo­bank e in se­gui­to di­vie­ne re­spon­sa­bi­le dei rap­por­ti in­ter­na­zio­na­li con il Fondo Mo­ne­ta­rio In­ter­na­zio­na­le.

Il serbo Mi­lo­se­vic (i cui ge­ni­to­ri si sui­ci­da­ro­no nello spa­zio di poco tempo) era quel­lo che oggi de­fi­ni­rem­mo un “tec­no­cra­te”, con in più il fatto di es­se­re po­li­ti­ca­men­te am­bi­zio­so. In Ko­so­vo la mi­no­ran­za serba è in agi­ta­zio­ne, la Lega dei Co­mu­ni­sti de­ci­de in ac­cor­do con il ver­ti­ce del par­ti­to e go­ver­no Serbo nella per­so­na di Stam­bi­lic di man­da­re Mi­lo­se­vic a par­la­re con la mi­no­ran­za et­ni­ca serba.
Siamo nel 1987.



Ov­via­men­te il clima è a dir poco teso. Mi­lo­se­vic — può sem­bra­re in­cre­di­bi­le ma le ideo­lo­gie quan­do estre­me hanno que­ste stra­nez­ze — si sca­glia con­tro il na­zio­na­li­smo et­ni­co e cerca, al­me­no in un primo mo­men­to, di cal­ma­re gli animi dei ma­ni­fe­stan­ti in Ko­so­vo. Il co­mu­ni­smo della fe­de­ra­zio­ne so­cia­li­sta Ju­go­sla­va non co­no­sce etnie; anzi sa­reb­be me­glio dire, non vuole ri­co­no­scer­le e cerca di sop­pri­mer­le. In real­tà — come si vedrà me­glio più avan­ti — la vo­lon­tà da parte dei serbi di far ri­na­sce­re la Gran­de Ser­bia è sem­pre viva, no­no­stan­te sia in con­tra­sto con la “dot­tri­na” fe­de­ra­le.



Per­ché la po­li­ti­ca et­ni­co re­li­gio­sa in Ko­so­vo è im­por­tan­te lo spie­ga in poche pa­ro­le il capo Serbo.



Pochi gior­ni dopo i Serbi na­zio­na­li­sti in Ko­so­vo pre­pa­ra­no un in­con­tro con Mi­lo­se­vic per di­scu­te­re della si­tua­zio­ne so­cia­le.

Al­l’in­con­tro è pre­sen­te anche Azem Vl­la­si, lea­der dei Co­mu­ni­sti Al­ba­ne­si in Ko­so­vo. L’in­con­tro — come da fa­ci­le pre­vi­sio­ne — di­ven­ta una ma­ni­fe­sta­zio­ne an­ti-al­ba­ne­se. Men­tre al­l’in­ter­no del luogo che ospi­ta Mi­lo­se­vic, Vl­la­si e gli altri par­te­ci­pan­ti, si fa a gara a chi fa il di­scor­so più na­zio­na­li­sta, fuori si sca­te­na una guer­ri­glia tra ma­ni­fe­stan­ti serbi e po­li­zia lo­ca­le al­ba­ne­se. Tocca al lea­der dei serbi cer­ca­re di cal­ma­re i ma­ni­fe­stan­ti. “Non vi pic­chie­ran­no più”, af­fer­ma Mi­lo­se­vic. Dal­l’u­ni­tà so­cia­li­sta fe­de­ra­le si passa alla di­fe­sa et­ni­ca e ter­ri­to­ria­le.





I video fanno parte del documentario della BBC The Death of Yugoslavia

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